Alessio Lapice a LaNostratv.it: da Sotto Copertura a Task Force 45
Da una casualità al set della grande fiction italiana. Ha bruciato le tappe, Alessio Lapice, 24enne napoletano di nascita ma romano d’adozione. Ad alcuni giorni dalla fine delle riprese di Gomorra 2, il giovane interprete di Rudy di Sotto Copertura si è raccontato in una lunga intervista esclusiva a LaNostraTv.it, nella quale ha ripercorso gli esordi, l’amore per la recitazione e l’emozione di recitare accanto a nomi del calibro di Raoul Bova, Claudio Gioè, Andrea Sartoretti e Salvatore Esposito.
Hai iniziato la carriera da attore da giovanissimo, subito dopo il diploma, com’è nata la passione per la recitazione? Hai sempre pensato di fare l’attore?
“Da piccolo ero un ragazzino molto vivace, quindi praticamente avevo un oceano di passioni. I miei genitori dovevano strami sempre dietro: cambiavo passione a tempi record. Dallo sport, allo studio… Ancora non mi ero focalizzato bene su quello che mi piacesse fare. Avevo tutt’altre passioni: da piccolo sognavo di fare il meccanico o altre cose stranissime, come il pilota di Formula 1, perché amavo i motori e le macchine. Ho avuto una serie di hobby diversi, ma la vera passione per il cinema è nata a 17 anni, anche se non conoscevo nulla di questo mondo. Frequentavo gli Istituto Tecnico per Geometri, una scuola totalmente diversa come indirizzo di studi. A 17 anni, a mia totale insaputa, mi ritrovo in un teatro da degli amici che preparavano uno spettacolo, a Roma. Mi avevano invitato, ma ero scettico di dover arrivare fino a lì e vedere questo spettacolo. Presi il treno e mi recai sul posto, ma ebbi la fortuna di vedere l’intero spettacolo durante le prove, quindi vidi i loro sforzi dietro il palco, le preparazioni, il loro modo di stare insieme, il loro gioco di squadra, quasi come se fosse uno sport, che ho amato sin da piccolo. Da quel giorno, rimasi affascinato da quel mondo e devo dire che lo spettacolo mi è piaciuto ancor di più di quello che avevo visto durante le prove. Quella serata mi è rimasta impressa, ma non fu decisiva per la scelta di fare l’attore, poiché ancora non ammettevo a me stesso di avere questa passione. Finita la scuola, mi sono diplomato, mi sono iscritto a Giuriprudenza e ho frequentato per 4-5 mesi. Contemporaneamente, frequentavo costantemente dei seminari di recitazione tra Napoli e Roma. Avevo ancora in mente quel giorno trascorso in teatro, fino a che, una mattina, tra i banchi dell’università, mentre il professore spiegava, ho chiuso il libro, mi sono guardato intorno e ho pensato: “No, io non posso stare qui!”. Sono tornato a casa, ho riposto le mie cose e mi sono immediatamente trasferito a Roma dove ho iniziato a studiare con impegno”.
Dal colpo di fulmine per la recitazione fino alle prime esperienze televisive, è passato pochissimo tempo. Quanto hanno contato le prime esperienze sul set, per arrivare a partecipare a una fiction di successo come Sotto Copertura?
“Sono state sicuramente importantissime. Il set è come un allenamento per un atleta. Più partecipi, più impari. Ho sempre assistito a tutte le scene, nonostante non fosse il mio turno. Mi è sempre piaciuto curiosare sulle tecniche, la macchina da presa. Seguivo con passione tutti i momenti più belli e, tutt’ora, questi sono le esperienze migliori trascorse sul set. Ogni personaggio, ogni lavoro è un’esplorazione nuova: questo è lo stimolo più forte. È una crescita, una scoperta dell’essere umano e della sua bellezza. Da poco tempo, ho partecipato a Sotto Copertura, nel ruolo di Rudy, per la regia di Giulio Manfredonia, con Claudio Gioè e altri protagonisti che mi hanno aiutato a vivere un’esperienza nuova. È una fiction che ho sentito tanto, perché conoscevo bene le storie di Casale e di quei luoghi. Ho studiato più approfonditamente la storia, per poter interpretare al meglio il mio personaggio, ma già conoscevo bene quella realtà, perché mio padre lavora in quelle zone e da piccolo mi raccontava alcuni episodi e le difficoltà che ci sono in quei luoghi. Ragion per cui, per me è stato doppiamente stimolante ed emozionante fare parte di un progetto così ambizioso, che sin dal provino mi ha emozionato in maniera particolare. Proprio grazie a questa partecipazione sono nati altri progetti importanti”.
Da Sotto Copertura a Task Force 45 il passo è stato davvero breve. Ti sei ritrovato, improvvisamente, a recitare al fianco di un attore della levatura di Raoul Bova. Com’è stato lavorare con un attore della sua esperienza?
“È stato molto emozionante. Ho imparato tantissime cose, è una persona molto disponibile. Mi ha messo a mio agio. È un personaggio interessante (De Lucia, in Task Force 45, ndr). Non è il solito cattivo. Per certi versi è stato molto stimolante, che mi ha lasciato qualcosa di importante anche per affrontare le mie interpretazioni future. Un po’ mi manca, succede spesso che ti leghi tanto al personaggio che interpreti. Mi sono trovato molto bene con Beniamino Catena, regista di Task Force 45, una persona squisita. Mi ha messo a mio agio, creando un gruppo che si è consolidato anche fuori dal set. Sono un personaggio un po’ fifone, sono l’anello debole di questo gruppo: questa caratteristica me la sono portata dietro anche fuori dal set, permettendomi un’esplorazione maggiore, dalla quale sono scaturiti diversi episodi divertenti anche fuori dal set. Un giorno sono rimasto chiuso in camerino perché avevano messo una porta di fronte al camerino per non permettermi di uscire, per farmi uno scherzo. La regia continuava a chiamarmi e non sapevo come poter uscire! È stato divertente portarmi dietro il personaggio al di fuori della scena, sono stato un po’ la mascotte del gruppo, ecco. Se dovessi definire questo personaggio con una parola, sarebbe assolutamente ‘divertente’. De Lucia è un giovane che lascia la sua città per arruolarsi, per servire lo Stato e che poi si ritrova ad affrontare situazioni difficilissime. Se per certi versi è stato divertente, per altri è stato emotivamente forte”.
Oltre a Raoul Bova e il regista Beniamino Catena, con quali altri personaggi ti sei trovato maggiormente in sintonia?
“Il legame maggiore si è instaurato con Beniamino Catena ma anche con Federico Tolardo, che in Task Force 45 interpreta Nicola, ma ce ne sono tanti altri, si è formato davvero un grande gruppo. Non c’è stato il desiderio di primeggiare, si lavorava in sinergia. Devo dire che Raoul (Bova, ndr) è stato davvero unico nel fare da collante a questo team di professionisti. È stato divertente lavorare con Megan Montaner, con la quale ho scherzato molto e cercato di imparare qualche parola di spagnolo. È una persona molto semplice, carina e umile. Se lei mi insegnava lo spagnolo, io mi sono divertito a insegnarle qualcosa di italiano. In sei mesi di riprese, concluse a ottobre, abbiamo avuto modo di consolidare il nostro affiatamento per via della necessità di allestire diversi set, in Marocco, a Malta e in Sardegna”.
Viviamo nell’era dei talent, “colpevoli” (secondo qualcuno) di far bruciare la gavetta ai cantanti della nuova generazione (o agli aspiranti tali). Ma in Tv non ci sono talent per attori… Secondo te per diventare un bravo attore e affermarsi al giorno d’oggi conta ancora molto la gavetta?
“Bisognerebbe vedere com’è questo talent. È importante capire cosa insegnano loro, cosa studiano, come sono gli artisti che ne fanno parte. Per certi aspetti potrebbe illudere e per altri no. Credo dipenda dall’artista. Devo dire che li seguo spesso, in particolare “Amici” e mi è capitato di vedere delle realtà bellissime. In Italia, l’unico talent che manca è quello che può formare gli attori. Forse manca perché la recitazione rientra in un meccanismo un po’ diverso. Di base, dipende tutto dall’artista e di quanto è capace a emozionare ed esprimere la sua passione. Ad esempio, alcuni cantanti che hanno partecipato ai talent sono diventati giganti della musica italiana, mentre altri sono rimasti indietro. Ecco, per questo penso che sia importante quanto e come un artista è capace di trasmettere al pubblico”.
Ci hai parlato di Sotto Copertura e Task Force 45. A breve, ti vedremo in Don Matteo 10. Che personaggio interpreterai? Com’è stato entrare a far parte di un gruppo già consolidato?
“Seguivo Don Matteo quando ero piccolo, ad appena 14 anni. È stato molto particolare, è stato come entrare in un cast che già conoscevo. Ho sempre seguito Terence Hill e Bud Spencer e per questo è stato un incontro molto particolare per me. Ho avuto modo di conoscere Frassica e di assistere alle sue battute divertenti. Sono entrato a far parte di un gruppo già formato e affiatato che mi ha accolto bene. Conoscevo Simone Montedoro (il Capitano dei Carabinieri in Don Matteo, ndr) e Dalila Pasquariello, con i quali ho lavorato in Sotto Copertura. Faccio parte di questa famiglia da poco, il mio personaggio si chiamerà Francesco ma non avrà un ruolo preminente. I protagonisti li conosciamo e sono bravissimi! Riprenderò a girare l’11, mentre gli altri hanno già iniziato a lavorare dal 4 gennaio”.
A soli 24 anni hai già una lunga serie di esperienze importanti alle spalle: dopo “Don Matteo” cosa bolle in pentola?
“Mi vedrete in Gomorra 2, per la regia di Stefano Sollima, Francesca Comencini e Claudio Cupellini. Per me è stato come entrare nella Cappella Sistina. Quando il mio agente mi ha chiamato per comunicarmi di essere stato scelto, quasi non ci credevo. È stato molto emozionante, perché ho sempre seguito da fan. Lavorare con loro è stato inaspettato, perché ci credevo ma non ci speravo. Quando ho messo piede sul set è stato come entrare in un sogno. Sono molto contento di aver fatto parte di un progetto così ambizioso”.