Il Delitto di via Poma, la ricostruzione dei fatti
Il 7 agosto 1990 nel palazzo di Via Carlo Poma n. 2 a Roma avveniva l’assassinio di Simonetta Cesaroni, uno dei fatti di cronaca nera più conosciuti e più controversi della storia del Paese. La ragazza, appena ventunenne, lavorava da qualche mese come segretaria contabile presso la Reli Sas, uno studio commerciale del quartiere Casilino gestito da Ermanno Bizzocchi e Salvatore Volponi. Simonetta lavorava il lunedì, il mercoledì ed il venerdì dalle 9 alle 12.30 e dalle 16 alle 19.30 presso la Reli Sas, mentre il martedì e il giovedì dalle 16 alle 19.30 presso gli uffici A.I.A.G. (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù) siti proprio in via Poma. La famiglia della ragazza era composta dal padre, morto nel 2005, dipendente della vecchia A.co.tra.l., dalla madre e dalla sorella Paola. Pur avendo un rapporto stretto con i familiari, nessuno di loro sapeva dove fossero gli uffici dell’A.I.A.G. nè delle telefonate anonime che Simonetta riceveva. La mattina del 7 agosto del 1990 è l’ultimo giorno di lavoro della Cesaroni. Alle 15 Simonetta esce di casa per andare a prendere la metro e recarsi alla fermata Lepanto. Più o meno alle 16 è in ufficio, ormai chiuso al pubblico. Alle 17,15 riceve una telefonata da Luigia Berrettini riguardo informazioni sul lavoro. Alle 18,20 Volponi aspetta la telefonata di Simonetta, che non arriverà mai. L’attesa dei familiari si fa troppo lunga, e alle 21,30 decidono di recarsi presso l’ufficio della A.I.A.G. insieme a Volponi. Alle 23.30 assieme a Pina, la moglie del portiere Pietro Vanacore, aprono la porta dell’ufficio trovando Simonetta morta.
Nessuno sembra essere entrato dall’ingresso principale dalle 16 alle 20. L’assassino di Simonetta era probabilmente già nell’ufficio. Tenta di sfuggirgli ma alla fine la immobilizza a terra con tanta forza che le causerà degli ematomi, la colpisce con un oggetto o le sbatte la testa violentemente a terra. Per il trauma cranico la ragazza muore. Ma non è finita. Con un tagliacarte l’assassino le inferisce ventinove colpi su tutto il corpo. Simonetta viene privata dei vestiti e di alcuni effetti personali che non saranno mai ritrovati, comprese le chiavi dell’ufficio. Nella porta d’ingresso della stanza viene ritrovato del sangue sulla maniglia, appartenente a un uomo. Nessuna colluttazione c’è stata nelle altre stanze, il corpo non è stato trascinato. Un delitto inquietante e violento. I primi a essere interrogati sono i condomini del palazzo. I quattro portieri sostengono di essere rimasti in cortile per tutto il pomeriggio. Secondo la ricostruzione l’assassino ha tentato di violentarla, ma non vi è riuscito. Frustrato ha commesso l’omicidio e poi ha pulito tutto. Qualcosa o qualcuno, forse, lo hanno interrotto. Viene fuori che Vanacore non era con gli altri portieri dalle 17.30 alle 18.30, orario in cui Simonetta è stata uccisa. Alle 22.30 Vanacore si reca come sempre a casa dell’anziano architetto Cesare Valle. Egli però sostiene che il portiere si è presentato alle 23. In un paio di suoi calzoni vengono trovate macchie di sangue. Dopo ventisei giorni in carcere viene rilasciato. Il sangue sugli indumenti è suo e i vestiti non presentano tracce di quello di Simonetta. Cadono pertanto tutte le accuse. Il 9 marzo del 2010, però, Vanacore si lega ad un albero per una caviglia e si getta in mare. Un suo messaggio dice “20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio”. Qualche giorno dopo avrebbe dovuto deporre all’udienza del processo dell’altro indagato: il fidanzato di Simonetta, Raniero Busco. Ma prima di arrivare a Busco altri fatti importanti. Nel marzo del 1992 un tizio austriaco afferma che l’assassino è Federico Valle, nipote dell’architetto. Il ragazzo, confuso e disperato per la separazione dei genitori, va a trovare il nonno in Via Poma proprio quel 7 agosto. Federico torna tardi a casa, sporco di sangue e con un taglio alla mano. Viene fuori che tra Simonetta e il padre di Federico possa esserci una relazione. Il ragazzo però si proclama innocente, il test del DNA lo scagiona. Tre persone gli forniscono un alibi, mentre suo padre nega la relazione con Simonetta Cesaroni. Il pm, non troppo convinto, prosegue le indagini sul giovane Valle, ma le prove sono insufficienti per procedere e nel 1993 viene totalmente prosciolto da ogni accusa. Si scoprirà poi che l’austriaco che l’ha incolpato è un truffatore che ha contatti con l’alta finanza: le sue informazioni sono false. Negli anni successivi viene fuori di tutto: nel 1995 si ipotizza che Simonetta facesse parte della chat line Videotel. Ma il suo computer era solo videoscrittura. Poi è emerso che l’ufficio di Via Poma sarebbe stato un luogo di copertura per alcune attività dei servizi segreti italiani, ma nulla fa immaginare una relazione con il delitto. Altre piste hanno rivelato che Simonetta Cesaroni avesse scoperto per caso negli archivi della A.I.A.G. degli importantissimi e segretissimi documenti che testimoniavano dei presunti favori fatti a favore della Banda della Magliana con il benestare del Vaticano. Ma anche qui le prove sono insufficienti. Nel 2004 per la prima volta viene prelevato del DNA appartenente a Raniero Busco. Le tracce di saliva trovate sul corpetto e il reggiseno della vittima corrispondono infatti al suo DNA. Busco diventa così ufficialmente l’indiziato numero uno. Nel 2008 si scopre che nel sangue analizzato dalla scientifica ci sono 8 alleli che coincidono con il DNA di Raniero Busco misto a quello di Simonetta Cesaroni. Nel 2009 si chiudono le indagini. Il pm chiede il rinvio a giudizio di Raniero Busco per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. Il ragazzo non ha un alibi convincente: dice di essere stato con un amico il giorno dell’omicidio, ma costui lo smentisce. Peraltro la moglie di Vanacore anni prima aveva riferito di aver visto verso le 18 un giovane con un fagotto sul lato sinistro, corrispondente alla descrizione di Busco. Dopo un anno di processo, nel gennaio 2011 la prima sentenza di primo grado: Raniero Busco viene dichiarato colpevole dell’omicidio di Simonetta Cesaroni e condannato a 24 anni di reclusione e al pagamento delle spese processuali e del risarcimento, in separata sede, delle parti civili. Il 24 novembre scorso si è aperto il processo di secondo grado. Gli avvocati di Busco hanno chiesto di disporre il rifacimento di quattro perizie inerenti: l’accertamento dell’orario della morte di Simonetta Cesaroni; la definizione della lesione riscontrata sul capezzolo del seno sinistro della vittima; l’interpretazione di alcune tracce di sangue di gruppo ematico A; la valutazione dello stato di conservazione dei reperti. La prossima udienza è fissata per il 27 marzo 2012.
Il delitto di Via Poma è diventato anche un film diretto da Roberto Faenza, in onda questa sera su Canale 5 alle 21,10.